Il progetto

Perché “La scuola diffusa”?

Spostare i confini e imparare facendo

Gli episodi che mi hanno consentito di sviluppare le riflessioni e quindi le proposte didattiche che da qualche anno sperimento con i miei allievi hanno origine, in parte, da quando, nel 1987 studentessa di A G Fronzoni, ebbi modo di apprezzare il metodo didattico che egli aveva formulato nella sua scuola-bottega.
Fu Albe Steiner che nel 1967 chiamò A G Fronzoni a insegnare all’Umanitaria: da allora Fronzoni si dedicò all’insegnamento per tutta la vita, e nel 1984, quando fondò la sua scuola-bottega mise in pratica il programma che avrebbe voluto applicare già negli istituti dove aveva insegnato fino ad allora, ma che a causa dei rigidi schemi scolastici non poteva applicare pienamente. Diede così vita a una scuola diversa da quelle esistenti. Per fare questo trasse ispirazione dal concetto di “bottega” rinascimentale, il luogo, dove gli allievi si recavano a “imparare facendo” sotto la guida di un Maestro. Alla scuola-bottega di A G Fronzoni le materie erano volutamente semplificate per essere coerenti tra loro: progettazione bi e tridimensionale, disegno geometrico, cultura del XX secolo, quest’ultima includeva visite guidate a studi di professionisti, show-room, mostre, aziende, atelier, in questo modo conoscemmo professionisti e situazioni davvero importanti. Ci recavamo spesso a trovare l’artista Bruno Munari, i fotografi Gianni Berengo Gardin e Aldo Ballo, l’architetto Leonardo Mosso, il sarto Zoran, conoscemmo personalmente il regista Bob Wilson, fummo tra i primi a visitare la Collezione d’arte contemporanea di Panza di Biumo a Villa Litta Menafoglio a Varese, visitammo la Biennale di Venezia, le città di Genova, Urbino, Como, ma facevamo anche incontri guidati all’interno di aziende quali Nava press, oppure da artigiani come il laboratorio del modellista Giovanni Sacchi, andavamo ad ascoltare concerti di musica jazz, preparavamo pietanze succulente che A G Fronzoni stesso ci suggeriva di volta in volta, organizzavamo feste, andavamo a conoscere le eccellenze della città, incluse quelle culinarie.
A Milano la Triennale era una tappa obbligatoria, così come il Salone del mobile e gli eventi collaterali che esordivano proprio in quegli anni. Ma anche luoghi ameni come il teatro di Burri al parco Sempione, il palazzo delle Stelline e i relativi giardini di Leonardo in Corso Magenta, i caffè storici, la falsa prospettiva del Bramante nella chiesa di santa Maria presso san Satiro in via Torino, i cortili delle case della borghesia milanese, le case di ringhiera, i navigli. Fronzoni ci suggeriva anche dove acquistare buon cibo, quali fossero i migliori ristoranti, i locali dove si suonava jazz, le pasticcerie, i caffè storici, le librerie, le gallerie d’arte, i negozi di abbigliamento, ci indicava luoghi atipici dove recarci per assaporare o percepire, per imparare qualche cosa di nuovo, il tutto in un’apparente scelta disomogenea ma che, invece, nel tempo si è rilevata il vero bagaglio culturale della nostra formazione. Il filo conduttore di queste scelte era la qualità.
A G Fronzoni spostava i confini della scuola, li estendeva, la scuola doveva entrare in contatto col mondo reale e quindi per lo stesso motivo il mondo reale doveva entrare nella scuola, per questo spesso le lezioni alla bottega erano tenute da esperti nel settore del design o del mondo della cultura.
Nell’epoca virtuale, dove attraverso internet si possono approfondire argomenti in modo capillare, forse la scuola deve assumere un ruolo diverso, se le lezioni frontali di puro nozionistico possono essere sostituite dal web, ci sono valori quali il rapporto umano ed emotivo che non hanno rivali. Oggigiorno forse dovrebbero essere inserite materie più adeguate, la scuola dovrebbe diventare una sorta di esperienza irripetibile, cioè non affidabile a un tutor digitale. La scuola può e deve diventare un luogo fisico e simbolico dove condividere stimoli e passioni che della scuola utilizzino il riferimento storico, logistico ma che poi vadano oltre per diffondersi, a seconda delle scelte orientative coordinate ai programmi didattici, nella città, sul territorio.

Perché Milano?

Città laboratorio e officina intellettuale

Design, moda, cultura. A Milano il meglio. Le sue eccellenze hanno conquistato il mondo. Queste eccellenze ora sono diventate un percorso per gli studenti, una scuola diffusa dove il made in Italy sale davvero in cattedra.
Milano, luogo fisico e mentale. Milano è una scelta. Chi vive, lavora, studia a Milano sa quello che cerca, sa quello che può trovare. Capitale tecnica, università del sapere, luogo di carature professionali, laboratorio in crescita e ovunque. Milano è un logo. Utilizzare il richiamo e le occasioni che può fornire quest’officina intellettuale permanente è, non solo un’opportunità, ma un obbligo. Ogni attività può essere l’alternativa ad un’aula, ogni eccellenza un master, ogni conoscenza un’esperienza irripetibile altrove. La scuola diffusa intende creare un nuovo percorso didattico, un’occasione d’incontro, di studio e un modo prestigioso e tutto italiano di valorizzare il sapere. Milano è certamente la città dalle innumerevoli risorse, gli studenti che molto spesso arrivano da altri Paesi, scelgono di studiare a Milano per un motivo ben preciso rappresentato dall’identità del luogo. Studiare a Milano non è la stessa cosa di studiare a Roma, a Venezia, a Firenze, a Parigi, a Londra, perché Milano nell’immaginario collettivo è sinonimo di made in Italy, design, moda, produzione di qualità, artigianato italiano, buon gusto. Quindi, dando il giusto rilievo alle peculiarità di questa città gli studenti entrano in contatto con quell’identità che al momento della loro scelta di orientamento scolastico era connaturata, anche inconsapevolmente, nella scelta medesima.


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